Dott.ssa Sara Cappelli

Psicologa e Psicoterapeuta

Psicoterapia: quando chiedere aiuto?

La Psicoterapia come un viaggio

Lavorando da anni con i bambini di ogni fascia d’età, entro molto spesso in contatto con dubbi e idee molto vaghe sul lavoro che uno psicologo può fare con i giovani pazientini. Una domanda comune che mi rivolgono, amici, parenti, conoscenti e pazienti è: “ma cosa fa un bambino in psicoterapia? E quando ci si deve rivolgere ad uno psicoterapeuta?”.

Non è semplice rispondere in maniera chiara e definita a questa domanda, ma vorrei poter descrivere intanto ciò che accade prima di iniziare una psicoterapia, o quello che può portare ad intraprendere una psicoterapia. Perché molto spesso c’è bisogno di un lungo “viaggio” prima di approdare da uno psicologo, ancora di più se si tratta di bambini: in questo caso il viaggio lo devono iniziare prima i genitori.

La figura dello Psicologo

L’immagine che ho in mente, se penso alla psicoterapia, è proprio quella di un “viaggio”, come rimando spesso anche ai miei pazienti adulti: un viaggio senza meta prestabilita, una meta inizialmente solo immaginata, un viaggio nell’ignoto, che a volte può essere in un mare in tempesta, altre volte può essere una passeggiata lungo una distesa piana, altre ancora una scalata piena di trappole. Ma come ogni viaggio, ci attendiamo dei cambiamenti e sappiamo che in ballo ci saranno molte emozioni che ci possono spaventare ma che ci faranno anche sentire vivi.

Ma quand’è che un genitore dovrebbe rivolgersi ad uno psicologo? Ecco, vediamo nel dettaglio cosa può succedere nella mente e nella vita di un genitore prima di rivolgersi ad uno psicologo, perché a volte è già un traguardo l’esserci arrivati.

I bambini, per la loro naturale immaturità, hanno bisogno di un genitore che traduca e metta in parole i suoi desideri, i suoi bisogni e i suoi sentimenti. Quando qualcosa non va per il verso giusto, il bambino cercherà in tutti i modi di far capire al proprio genitore il suo malessere, ma lo farà nella sua modalità, che non è quella adulta fatta di parole e pensiero cosciente. La sua modalità privilegia il corpo: “non so bene cosa mi succede, non so spiegartelo a parole, te lo mostro” potrebbero dire i bambini. Arriva così il sintomo: un mal di pancia, un’incapacità a fermarsi, difficoltà a scuola, nervosismi vari.

Ma quand’è che una difficoltà momentanea diventa qualcosa di più serio? E come fa un genitore a capire quando è il momento di chiedere aiuto? Scelta difficile. Per esempio, qual è la differenza tra una semplice difficoltà nel momento dell’addormentamento ed un’angoscia al calare della notte? Perché il cibo diventa così disgustoso da non riuscire più ad ingerirlo e scatenare così una lotta a tavola continua? Perché si ha così paura della cacca tanto da trattenerla il più possibile? Qual è quel limite oltre il quale si dice che no, la pipì ancora nel letto la notte forse è il segnale di qualche malessere che non trova altro modo di esprimersi, o almeno bisogna iniziare a porsi qualche domanda?

Sono arrivati in consultazione diversi genitori che ripetono più volte, forse anche per convincere loro stessi, “è piccolo, crescendo passa da solo”. Si, è vero, a volte può passare da solo, o meglio passa attraverso il lavoro che il genitore fa internamente al posto del figlio. Il disturbo del bambino mette alla prova l’assetto mentale del genitore, della coppia, pone interrogativi e scoperchia antichi e nuovi sentimenti. A volte i genitori trovano dentro di loro le risorse per affrontare quella difficoltà del figlio e con il figlio.

A volte però non è così. Si crea un circolo vizioso che immobilizza tutti: il genitore si angoscia di fronte all’impotenza, e il bambino si dispera sempre di più. Il problema è sempre più pervasivo, il clima in famiglia diventa pesante, la coppia vacilla. Tutti stanno male.

Con il coraggio si affrontano tutti i problemi

È in questi momenti che bisogna trovare il coraggio di chiedere aiuto, di dire che forse non sempre “crescendo passa”. C’è bisogno allora di un occhio esterno per vedere meglio cosa è successo, cosa si è rotto, come poter riaggiustare quel vaso per renderlo più bello di prima.

Parlo di “coraggio” perché è proprio così. Decidere anche solo di consultare uno psicoterapeuta è sempre una “ferita” per il genitore. Entra in campo la delusione, perché si vorrebbe un figlio “funzionante”; sentimenti di colpa e frustrazione, perché non ci si sente un genitore capace di poter aiutare il proprio figlio; ci si spaventa, perché chissà che può succedere all’assetto della famiglia, della coppia. Ma quell’assetto è ormai traballante, e rimandare non sempre aiuta, anzi peggiora e cronicizza delle difficoltà che potrebbero invece risolversi velocemente.

Perché se è vero che la psicoterapia mira a far star meglio il bambino, a renderlo libero dal carcere del sintomo, ad esprimere ciò che sente, è vero anche che non può esserci un bambino felice senza una famiglia serena. Perché in questo viaggio c’è bisogno della partecipazione di tutti, e come psicoterapeuta non si può non prendersi cura anche della coppia genitoriale.

 

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Dott.ssa Sara Cappelli
Psicologa e Psicoterapeuta
Iscritta all 'Albo degli Psicologi, matricola: 20447
Sono una psicologa e psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico, diplomata presso la Scuola di psicoterapia ASNE-SIPSIA (Istituto Winnicott) specializzata in infanzia, adolescenza, coppia e nata all’interno del prestigioso Istituto di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Roma “La Sapienza”.

 

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